Il Ponte sullo Stretto continua a navigare tra proclami politici e ombre tecniche. A ricordarlo è la Corte dei Conti, che in una recente analisi solleva una serie di criticitàsul percorso amministrativo e finanziario che ha portato alla delibera Cipess sull’opera.
I magistrati contabili parlano chiaro: l’onere della motivazione non risulta assolto. In altre parole, mancano valutazioni puntuali sugli esiti istruttori che giustifichino le scelte compiute. Una carenza non marginale, perché in un’opera di questa portata la trasparenza e la coerenza delle decisioni dovrebbero essere prerequisiti, non variabili opzionali.
Dubbi emergono anche sulle modalità di trasmissione degli atti: alcuni documenti sarebbero stati messi a disposizione semplicemente tramite link al sito della società Stretto di Messina, una prassi che solleva interrogativi sulla legittimità formale della loro acquisizione. Un dettaglio che, in un contesto meno controverso, potrebbe apparire secondario, ma che qui assume rilievo decisivo.
Non mancano le zone grigie nemmeno sul piano procedurale. L’efficacia della delibera Cipess è stata subordinata a un decreto interministeriale già adottato ma arrivato all’Ufficio di controllo soltanto mesi dopo. Un tempismo che lascia perplessi, perché mina la linearità e la certezza delle procedure.
Sul fronte ambientale, la Corte richiama la decisione del Consiglio dei ministri che ad aprile ha qualificato il Ponte come opera di “motivi imperativi di rilevante interesse pubblico” (Iropi), soluzione necessaria per superare i vincoli comunitari. Ma qui i giudici si domandano: quel passaggio, avente valore dispositivo, non avrebbe dovuto essere sottoposto a controllo preventivo? Non solo: restano aperti interrogativi sulla compatibilità del progetto con la Direttiva Habitat e con le linee guida Vinca, oltre all’assenza, nei documenti, del parere del NARS, organo chiamato a valutare la coerenza con le linee guida sui servizi pubblici.
Il progetto tecnico non convince del tutto. Si fonda ancora sul definitivo del 2011, integrato da una relazione del 2024, ma molte prescrizioni della vecchia delibera Cipe 66/2003 risultano inevase. Mancano inoltre i pareri fondamentali, tra cui quello del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, passaggio quasi imprescindibile in opere infrastrutturali di tale scala.
Il quadro economico è un altro terreno scivoloso. La Corte evidenzia disallineamenti tra i costi certificati da KPMG (10,4815 miliardi) e quelli riportati nella delibera Cipess (10,5088 miliardi). Una differenza apparentemente minima, ma significativa perché si accompagna alla lievitazione di voci come sicurezza e opere compensative, esplose rispettivamente da 97 a oltre 206 milioni e fino a 267 milioni. Un andamento che rischia di prefigurare incrementi futuri ancora più pesanti.
Anche sul ruolo dell’ART, l’Autorità dei trasporti, la Corte non fa sconti: la sua esclusione viene giudicata immotivata, soprattutto alla luce dell’impatto che l’infrastruttura avrà su concessioni, tariffe e accesso ai servizi, ambiti di sua competenza diretta.
Infine, la questione delle stime sul traffico e del piano tariffario. La Corte chiede spiegazioni sulla scelta della società di consulenza TPlan Consulting e sul rigore delle previsioni adottate, visti gli approfondimenti svolti in fase preliminare. Previsioni troppo ottimistiche potrebbero infatti gonfiare artificiosamente la sostenibilità economica del progetto.
Il quadro che emerge è quello di un’infrastruttura spinta con forza politica ma ancora debole sotto il profilo tecnico, amministrativo ed economico. La Corte dei Conti non boccia il Ponte, ma sollecita chiarezza, rigore e coerenza. Perché un’opera definita “storica” non può poggiare su basi fragili, altrimenti rischia di trasformarsi da simbolo di progresso a monumento alle forzature burocratiche e ai conti in rosso.
















