Ponte sullo Stretto — Il 9 luglio scorso il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha fatto tappa in Giappone per visitare il celebre ponte di Akashi Kaikyō, infrastruttura che collega la città di Kobe con l’isola di Awaji. Nella narrazione martellante della Lega, quel ponte viene descritto come “gemello” di quello previsto sullo Stretto di Messina, a dimostrazione — secondo Salvini — della piena fattibilità tecnica della “grande opera” che dovrebbe unire Calabria e Sicilia.
Ma le cose stanno davvero così? La realtà, come spesso accade quando la politica si piega alla propaganda, è ben diversa. E proprio l’esempio giapponese finisce per smontare uno ad uno i principali argomenti a sostegno del progetto italiano.
Il ponte giapponese, innanzitutto, è più corto: la sua campata centrale misura 1991 metri, contro i 3300 metri previsti per la campata unica del ponte sullo Stretto, che sarebbe — sulla carta — la più lunga mai realizzata al mondo. Inoltre, Akashi ha tre campate sorrette da due piloni in mare, mentre il ponte previsto tra Calabria e Sicilia ne avrebbe una sola sospensione, esponendolo a forze meccaniche e ambientali molto più complesse.
C’è di più: il ponte giapponese non trasporta treni, nonostante nelle fasi iniziali fosse previsto anche il passaggio ferroviario. Il progetto ferroviario è stato silenziosamente accantonato, un dettaglio che dovrebbe far riflettere: se il Giappone — patria dell’ingegneria avanzata — ha rinunciato alla ferrovia su un ponte più corto e meno esposto, come può l’Italia realizzare un’infrastruttura ben più ambiziosa, sostenendo che vi transiteranno anche i convogli ad alta velocità?
Il ministro Salvini ha chiesto spiegazioni in merito agli ingegneri giapponesi? Ha chiesto perché loro non ce l’hanno fatta mentre noi continuiamo a vendere per certo ciò che è ancora tutto da dimostrare?
Anche la questione del franco navigabile — cioè lo spazio disponibile tra il ponte e la superficie del mare — solleva dubbi. Il ponte giapponese garantisce un’altezza di 65 metri, la stessa prevista per il ponte sullo Stretto. Ma il traffico navale dello Stretto di Messina è molto diverso da quello tra Kobe e Awaji, e coinvolge rotte strategiche per il Porto di Gioia Tauro e il Mediterraneo.
Molte navi moderne superano abbondantemente i 70 metri di altezza:
- Triple-E, portacontainer: 73 m
- Oasis of the Seas, nave da crociera: 72 m
- Queen Mary 2: 72 m
- Classe Nimitz, portaerei: 77 m
Questi colossi — oggi pienamente operativi nello Stretto — rischierebbero di non poter transitare sotto il nuovo ponte. A ciò si aggiungono le oscillazioni causate dal moto ondoso che, secondo stime tecniche, imporrebbero un rialzamento dell’impalcato, con conseguente riprogettazione strutturaledell’intera opera.
Dunque, la visita in Giappone non ha portato certezze, ma ha confermato tutti i punti critici già sollevati da studiosi, ambientalisti, ingegneri e dai territori coinvolti. L’unica cosa che è tornata indietro dal Sol Levante è la retorica stantiadel “si può fare”, priva però di fondamento tecnico e serietà politica.
Mentre il governo va avanti con espropri annunciati e spot mediatici, restano irrisolti i problemi tecnici, ignoti i dettagli sulla reale sostenibilità economica, e del tutto assenti le garanzie sulla sicurezza e sulla funzionalità dell’opera. Se la comunicazione istituzionale è ridotta a slogan e confronti fuorvianti, significa che dietro le fanfare non c’è un piano, ma solo l’ennesima illusione da campagna elettorale.
Siamo al punto che il caschetto da cantiere indossato da Salvini somiglia più a quello di Pinocchio: una favola raccontata male, che rischia di trasformarsi in un incubo per il territorio e per le sue comunità.