Appena otto giorni dopo il via libera del Cipess al progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina, la terra ha ricordato a tutti quanto quell’area sia fragile. L’11 agosto, alle 6:31, un terremoto di magnitudo 2.6 è stato registrato dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) tra Reggio Calabria e Messina, a 11 chilometri di profondità, in piena zona interessata dal futuro cantiere. Poche ore dopo, il 12 agosto alle 13:34, un’altra scossa — questa volta di magnitudo 3.3 — ha colpito Reggio Calabria, con un ipocentro a 69 chilometri.
Episodi che, secondo molti, non possono essere liquidati come semplici coincidenze.
«Lo Stretto di Messina è una delle aree a più alto potenziale sismico del Mediterraneo — ricorda Domenico Angelone, presidente dell’Ordine dei geologi del Molise ed ex segretario del Consiglio nazionale dei geologi —. Qui, faglie attive e capaci, anche sotto il mare, hanno prodotto in passato eventi devastanti, come il sisma e maremoto del 28 dicembre 1908, di magnitudo stimata 7.1. E non è detto che questo sia il massimo possibile».
Per Angelone, la normativa italiana, basata su valori medi e probabilistici di accelerazione al suolo, non fotografa sempre le condizioni reali in un’area epicentrale. «Le registrazioni storiche — spiega — mostrano che in caso di evento reale le accelerazioni possono superare di molto i valori di progetto, esponendo a rischi anche opere conformi alla legge».
Il geologo insiste su tre punti: calcolare le massime accelerazioni realistiche, valutare anche la componente verticale delle scosse, e considerare la complessa rete di faglie presenti. «Serve una modellazione rigorosa del sottosuolo su un’area estesa, e l’analisi delle amplificazioni locali del moto sismico: è lì che si decide se un’opera resiste o crolla».
Mentre il dibattito tecnico si accende, sul fronte ambientalista il no è altrettanto netto. Legambiente Sicilia definisce la decisione del Cipess «azzardata e pericolosa». Secondo l’associazione, il progetto approvato come “definitivo” è in realtà incompleto e pieno di incognite. «Si tratta di un’opera inutile — sostengono — che non risolve i problemi reali della mobilità nel Sud e rischia di diventare un costoso monumento all’incompiuto. Un investimento a spese dei cittadini, con possibili penali miliardarie e un impatto ambientale irreversibile sull’ecosistema dello Stretto».