In Calabria si consuma l’ennesimo corto circuito tra politica e giustizia. Roberto Occhiuto, governatore della Regione e figura di spicco di Forza Italia, ha annunciato le sue dimissioni. Non per lasciare, ma per rilanciarsi. Lo fa dopo essere stato raggiunto da un avviso di garanzia per corruzione, nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla procura di Catanzaro che coinvolge anche alcuni nomi vicini al suo entourage.
Tra gli indagati figurano infatti Paolo Posteraro, collaboratore parlamentare legato alla sottosegretaria Matilde Siracusano — compagna dello stesso Occhiuto — ed Ernesto Ferraro, ex amministratore unico di Ferrovie della Calabria. Un’indagine delicata, che tocca il cuore del sistema calabrese dei trasporti e della politica regionale.
Ma il gesto delle dimissioni, che in altri tempi e contesti sarebbe stato letto come atto di responsabilità, qui prende una piega completamente diversa. In un video pubblicato sui social, Occhiuto parla con tono deciso: non arretra, anzi rilancia. Annuncia di voler restituire la parola ai cittadini, accusando la magistratura di aver bloccato l’azione di governo.
«Non è la politica a essere malata, è la giustizia a fermare i processi di sviluppo», sembra dire tra le righe. Secondo il governatore, le inchieste giudiziarie non solo interferiscono con la vita pubblica, ma impediscono alla Calabria di crescere, di risollevarsi, di funzionare.
Nel suo messaggio, Occhiuto ha anche preso di mira i propri avversari politici, accusandoli di strumentalizzare l’inchiesta a fini personali. «Ce l’ho con chi utilizza l’inchiesta giudiziaria come una clava, con chi è contento quando si parla male della Calabria», ha detto, con evidente amarezza. Un passaggio che, secondo diversi osservatori, non sarebbe diretto soltanto all’opposizione. Le sue parole sembrano colpire anche alcune aree della sua stessa maggioranza, forse quelle meno compatte o più critiche nei suoi confronti.
Un’accusa pesante, che estende il fronte del “nemico” non solo verso i giudici, ma anche verso chi, all’interno del proprio campo, non allinea pienamente il passo. È una strategia già vista: chi non è con me, è contro di me.
Tuttavia, questa polarizzazione lascia sullo sfondo la sostanza dei fatti. Occhiuto è indagato per un reato grave. Ed è singolare che una vicenda giudiziaria diventi pretesto per una rilegittimazione politica anziché per una riflessione pubblica.
Il partito, dal canto suo, reagisce compatto. Da Maurizio Gasparri ad Antonio Tajani, passando per figure di secondo piano, Forza Italia si stringe attorno al proprio governatore come attorno a un portabandiera da difendere a ogni costo.
Ma il messaggio che arriva ai cittadini è ambiguo: in Calabria, un’inchiesta giudiziaria non è motivo per fare chiarezza o attendere gli esiti della giustizia, ma occasione per rilanciarsi, trasformando le dimissioni in una piattaforma elettorale.
E la Calabria? Resta lì, spettatrice e vittima di un teatrino che si ripete. Una terra piena di potenziale e al contempo di ferite storiche, intrappolata in logiche politiche che antepongono la sopravvivenza personale al bene comune.
A chi guarda da fuori, tutto questo appare capovolto. Ma per chi vive in Calabria, rischia di essere semplicemente la normalità.