Ponte sullo Stretto, lo spettro del danno erariale: la nuova arma contro i cantieri di Salvini

Ricorsi, Corte dei Conti e accuse di incostituzionalità: il WWF e parte dell’opposizione rilanciano la battaglia legale contro il Ponte sullo Stretto di Messina. Il Governo difende il progetto e promette di andare avanti, mentre imprese e sindacati locali chiedono lavoro e sviluppo
ponte sullo stretto di Messina

Il Ponte sullo Stretto di Messina torna al centro dello scontro: mentre il Governo punta ad aprire i cantieri entro il 2025, il fronte del “no” prepara nuovi ricorsi e agita lo spettro del danno erariale, minacciando responsabilità dirette per ministri, tecnici e dirigenti della Stretto di Messina Spa.

L’obiettivo? Mettere paura. Far esitare chi dovrà apporre quella firma che sblocca definitivamente i lavori del ponte più discusso d’Europa.

A rilanciare la linea del ricorso è il WWF, attraverso l’avvocato Aurora Notarianni, che in un’intervista al Fatto Quotidiano annuncia battaglia su più fronti: dalla Corte dei Conti al Tar del Lazio, fino alla Corte Costituzionale. «Stiamo lavorando sulle questioni di incostituzionalità», spiega la legale, puntando il dito contro la scelta del Governo di riprendere il progetto originario e mantenere lo stesso general contractor di allora. Secondo Notarianni, “il costo dell’opera non può superare del 50% quello del progetto iniziale”, e le modifiche societarie renderebbero tutto “ancora più fragile” dal punto di vista giuridico.

Una ricostruzione che però non convince l’amministratore delegato della Stretto di Messina Spa, Pietro Ciucci, secondo il quale il famoso limite del 50% si applica soltanto alle varianti, non ai normali adeguamenti di prezzo dovuti all’inflazione e all’evoluzione tecnica dei materiali. «I costi maggiori – ha chiarito Ciucci – derivano quasi esclusivamente da aggiornamenti dei prezzi e non da modifiche sostanziali al progetto».

Nel frattempo, il fronte politico resta rovente. Il vicepremier Matteo Salvini, che considera il Ponte una delle sue battaglie simbolo, non arretra di un millimetro: «Non mi interessano le polemiche, io lavoro perché il Ponte si faccia», ha dichiarato. «Chi oggi protesta lo fa solo perché l’opera è associata al mio nome. Ma così si penalizzano siciliani e calabresi, che hanno diritto a collegarsi in 15 minuti e non in 4 ore».

Salvini snocciola anche i numeri: 13,5 miliardi di euro di costo complessivo, “un decimo dei 204 miliardi di cantieri già avviati nel Paese”. E replica ai Cinquestelle: «Se fosse dipeso da loro, non avremmo nemmeno la Tap».

Dal suo stesso partito arrivano rinforzi: il sottosegretario Alessandro Morelli ha confermato che “si va avanti”, ricordando che «in meno di tre giorni Webuild ha ricevuto quasi 8mila candidature per lavorare al Ponte». Anche il collega Federico Freni ha invitato alla calma: «Aspetteremo le motivazioni della Corte dei Conti, ma siamo pronti a intervenire con ogni strumento previsto dalla legge».

Sul fronte sindacale, non tutto è opposizione. La Cisl Messina difende il progetto e lo definisce «una speranza per il territorio». Secondo il sindacato, «bloccare ancora una volta l’opera sarebbe una mortificazione per migliaia di lavoratori e per un’area che chiede sviluppo, non ostacoli».

Tra carte bollate, annunci di ricorsi e dichiarazioni infuocate, il Ponte sullo Stretto resta dunque sospeso tra due Italie: quella che vede nell’opera un salto nel futuro e quella che teme un ritorno agli sprechi del passato. Una sfida che, ancora una volta, si gioca non solo sui piloni in cemento, ma nelle aule dei tribunali e nella credibilità delle istituzioni.

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