Il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, da tempo simbolo delle ambizioni infrastrutturali del governo, si trova ora a un bivio dalle conseguenze imprevedibili. Dopo il via libera del CIPESS ad agosto 2025, la Corte dei Conti ha negato il visto di legittimità alla delibera che approvava il progetto definitivo, rifiutando di registrarne l’atto.
Le motivazioni della Corte
Le ragioni del no da parte della magistratura contabile riguardano molteplici elementi: la copertura finanziaria dell’opera viene giudicata incerta e insufficiente; le stime di traffico su cui si fonda l’equilibrio economico sono considerate poco credibili; il progetto definitivo presenta carenze rispetto alle normative ambientali, antisismiche e alle regole europee, soprattutto per il superamento del 50 % del costo iniziale.
È inoltre contestata la competenza del CIPESS, considerato organismo politico e dunque non idoneo a pronunciarsi su profili tecnici e contabili. Anche il rispetto delle norme UE sugli appalti è messo in dubbio, poiché un aumento di costo superiore al 50 % imporrebbe una nuova gara.
In sostanza, la Corte dei Conti non ha espresso un giudizio sull’utilità politica o strategica del Ponte, ma ha riscontrato profonde criticità sul piano tecnico, finanziario e procedurale.
Le possibilità che restano
Nonostante la bocciatura, il progetto non è formalmente archiviato. La normativa consente infatti che il Governo chieda al Consiglio dei Ministri un atto deliberativo che dichiari l’interesse pubblico “superiore”, per superare l’ostacolo della Corte e procedere ugualmente.
In quel caso, la Corte potrebbe apporre un “visto con riserva” e trasmettere l’atto al Parlamento per una valutazione ulteriore. Tuttavia, questa strada è assai rischiosa: comporta il venir meno di parte del controllo preventivo della Corte e rischia di aprire conflitti istituzionali e contenziosi legali.
Le reazioni politiche
Sul piano politico, la reazione del governo è stata immediata. Giorgia Meloni ha denunciato quella della Corte come un’“intollerabile invadenza” nei confronti delle scelte del Parlamento. Matteo Salvini ha ribadito la sua intenzione di andare avanti, sostenendo che la decisione non modifica le tempistiche e che il progetto proseguirà come previsto.
Le opposizioni, invece, hanno chiesto le dimissioni del ministro delle Infrastrutture, accusandolo di aver spinto un progetto con evidenti falle tecniche e contabili.
Il vicolo cieco
Arrivati a questo punto, il “vicolo cieco” appare più reale che mai. Da una parte, abbandonare il ponte equivarrebbe a rinunciare a una delle battaglie simboliche di Salvini. Dall’altra, insistere implica affrontare ostacoli giuridici, tecnici e finanziari imponenti, con il rischio concreto che l’opera si blocchi definitivamente in sede giudiziaria.
Salvini, che ha fatto del Ponte uno dei totem della sua agenda infrastrutturale, rischia di trovarsi incastrato in un percorso in cui la volontà politica non basta da sola, se è priva di basi credibili e sostenibili. Se il Governo insiste, può scatenare uno scontro con la Corte, con il Parlamento e con l’Unione Europea: un terreno pieno di mine istituzionali.
Il vero test non è più sul se fare il ponte, ma sul come farlo — e se l’attuale configurazione abbia le carte in regola per reggere uno scrutinio tecnico-giuridico. Se non riuscirà a rispondere ai rilievi della Corte, l’iter potrebbe incepparsi definitivamente.
In definitiva, per Salvini e il governo il ponte rischia di non essere più una promessa concreta, ma una trappola politica: un vicolo cieco da cui uscire sarà sempre più difficile.















