ROMA – Nuovo fronte legale contro la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Le associazioni Legambiente, Lipu e WWF Italia hanno presentato un ulteriore ricorso al TAR del Lazio, impugnando il recente parere della Commissione VIA-VAS e la delibera governativa che approva la cosiddetta relazione IROPI, ovvero le “motivazioni imperative di rilevante interesse pubblico”. Un’iniziativa che rilancia lo scontro tra ambientalisti e governo su una delle opere pubbliche più controverse della storia italiana.
Nel mirino c’è innanzitutto il parere n. 72 del 21 maggio 2025, che secondo i ricorrenti rappresenta una netta inversione di rotta rispetto alla precedente Valutazione d’Incidenza Ambientale (VIncA) negativa espressa dalla stessa Commissione nel novembre 2024. Quel parere, ricordano gli ambientalisti, fissava 62 prescrizioni e sollevava forti dubbi su impatti ambientali ritenuti non mitigabili. La Commissione, allora, chiedeva un approfondimento di “terzo livello” per accertare se l’opera potesse essere autorizzata solo in presenza di compensazioni efficaci, alternative inesistenti e motivazioni pubbliche stringenti.
Secondo le associazioni, nessuna di queste condizioni risulta oggi soddisfatta. «Non è stato dimostrato – scrivono – che il ponte sia l’unica opzione possibile, come dimostrano le numerose valutazioni tecniche e istituzionali che fino al 2022 esploravano anche soluzioni alternative, meno impattanti, comprese in documenti ufficiali come il DEF e relazioni ministeriali». Nonostante ciò, la Commissione ha espresso un parere favorevole, che viene definito “immotivato” e “in contraddizione con se stesso”.
Ma la contestazione non si ferma qui. Il secondo punto su cui si concentra il ricorso riguarda la relazione IROPI approvata dal Consiglio dei ministri il 9 aprile scorso. Il documento, secondo i ricorrenti, «non contiene un’analisi fondata e documentata» dell’interesse pubblico che dovrebbe giustificare l’opera, ma si limita a una «narrazione politica» che attribuisce al ponte la capacità di risolvere problemi cronici del Sud Italia senza indicare come ciò avverrebbe in concreto.
Critiche anche sulle compensazioni ambientali, ritenute «generiche e non idonee a bilanciare l’impatto» su aree protette, specie minacciate e habitat vincolati da normative europee. «La Commissione – si legge nel ricorso – ha accettato queste compensazioni senza che fossero stati completati nemmeno gli approfondimenti richiesti nel parere precedente, violando le stesse regole procedurali che essa aveva fissato».
Infine, la questione sismica, che secondo gli ambientalisti resta una grave incognita. Le carte progettuali, evidenziano, collocano uno dei piloni in prossimità della faglia attiva di Cannitello, eppure non risulta prodotto alcuno studio sismico indipendente e approfondito. Anche l’ISPRA, in una nota acquisita agli atti, sottolinea l’incertezza che ancora circonda l’attività e la localizzazione precisa di diverse faglie nell’area.
Per le tre associazioni, l’intero iter appare dunque “viziato da superficialità e forzature politiche”, mentre la normativa europea richiede ben altro livello di approfondimento e cautela quando sono in gioco siti della rete Natura 2000.
Il TAR del Lazio sarà ora chiamato a pronunciarsi su uno dei passaggi più delicati dell’iter autorizzativo del Ponte. Ma il ricorso conferma una verità già emersa con forza nei mesi scorsi: l’opera simbolo della politica infrastrutturale del governo resta un terreno di scontro acceso, dove l’ambiente, la legalità e la sicurezza sismica sono i punti cardine di un confronto destinato a protrarsi ancora a lungo.